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La Via del Caravati > Luvinate

A pochi passi da Varese

© ART&RUN 2022

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INTRO:

Vissuto tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, nativo di Varese ma luvinatese di adozione, di professione scalpellino impiegato nei cantieri che in quel periodo stavano costruendo il Gran Hotel e la Funicolare, di vocazione scultore, dopo una dura giornata di cantiere trovava il tempo per vagare per i boschi della montagna alla ricerca di pietre che potessero ispirare la sua immaginazione, che trasformava in opere lavorate sul posto perché diceva “alla montagna non va tolto neanche un fiore, sarebbe come togliere un bimbo alla madre”.


INTRO STORICA:

Uomo d’altri tempi, il “Matt de la Cruz” come veniva bonariamente chiamato, che ci ha lasciato in eredità una produzione artistica pregevole e molto particolare. Difficilmente inquadrabile in un preciso stile artistico, le sue opere sono “di un candore ed una ingenuità disarmanti, ma mai banali o infantili; mantengono la purezza dello spirito libero, svincolato da norme, imposizioni e insegnamenti scolastici”.
Ad oggi le opere che sono rimaste, almeno quelle di cui si conosce l’esistenza e che sono sopravvissute agli agenti atmosferici, all’incuria e agli atti vandalici, sono tristemente abbandonate ad un destino che sembra già segnato, un oblio che ci farebbe perdere un patrimonio artistico che andrebbe invece preservato e valorizzato.
Nel 2003 è stato pubblicato il libro “Caravati e Bertini gli artisti del bosco” in cui è stata fatta una notevole e approfondita ricerca sulle storia e sulle opere di Edoardo Caravati, che ho avidamente letto permettendomi una conoscenza più profonda dell’uomo e della sua opera, e che ho usato come guida per riproporre un progetto che ciclicamente viene evocato, ovvero un percorso tematico che toccasse tutte le sue sculture, tra Luvinate, il Campo dei Fiori e il Sacro Monte che potesse anche essere inteso come una via da fare correndo o camminando a seconda delle esigenze di chi lo intraprende.

 

PERCORSO:

Punto di partenza è il sagrato della chiesa di Luvinate, dove si trova il bassorilievo del “Battesimo di Cristo” e mi dirigo verso monte percorrendo l’itinerario dello “Scarpone Luvinatese”, reso famoso da un’epica gara che da oltre mezzo secolo si svolge nel mese di maggio. Il percorso è da subito impegnativo, alternando tratti erti ad altri più facili, e mentre mi immergo sempre più nel cuore della montagna, col respiro via via più intenso, non posso non pensare al Caravati che ogni giorno percorreva questi sentieri, zaino in spalla e scalpello nella mano per recarsi al duro lavoro di cantiere, e nel frattempo si guardava intorno, scrutando pietre e rocce che gli potessero accendere la fantasia creativa dove far calare la sua possente mano scultorea.
A circa metà salita, poco prima di un caratteristico canyon, si trova forse l’opera più conosciuta e simbolica di Caravati, il “Sass dur Signur”, una croce con Cristo scolpito conficcata sopra un masso. È un luogo mistico questo, diventato luogo di culto popolare invaso da medaglie, targhette, rosari e quant’altro….dopo una breve pausa proseguo salendo, e come tutti i sentieri del Campo dei Fiori, più ci si avvicina alla sua sommità, più diventano ripidi, con aggiunta la difficoltà di un fondo particolarmente sconnesso dato dai sassi, radici e tronchi più o meno grandi lasciati lì dal susseguirsi degli eventi atmosferici. L’ultima parte è bollata con degli evidenti segni rossi sugli alberi che mi guidano fino a intercettare la strada militare, sentiero uno, che mi porta al piazzale del Belvedere. Qui, a fianco della cancello che porta all’osservatorio astronomico, si trova il “Crocefisso con le Tre Marie” che originariamente si trovava al piazzale del Cannone, e spostato qui per via dei cedimenti che stavano interessando la zona dove era collocato. 
Seguendo il sentiero uno, con un piccolo tratto di strada asfaltata vado in direzione della pensione “Irma”, e oltrepassata la zona militare prendo una traccia quasi nascosta dalla vegetazione, che mi porta all’opera forse più importante di Caravati, il “Monolite”, un cristo a figura quasi intera posizionato sopra un masso e rivolto verso valle, anche se ora lo sguardo si infrange contro il muro d’alberi cresciuti negli anni e che ai tempi invece non c’erano.
Dal “Monolite” si raggiunge un’altra opera molto particolare, detta il “Presepe”, per via delle dinamiche scene rappresentate che sembrano ricordare una natività. Arrivato a questo punto, rifletto che sia il Monolite che il Presepe sono rivolti a valle, e mi chiedo se non ci fosse un sentiero che collegasse queste sculture con la zona sottostante. Ed infatti, scrutando meglio nel sottobosco, si intuisce un sentiero che porta verso l’approdo della funicolare, che seguo. 
Da qui vado verso il Grand Hotel, dove Caravati prestava la sua opera, che mi lascio alle spalle per arrivare ad un tornate con un muro di contenimento a lato strada dove ci sono delle formelle scolpite sul posto con varie rappresentazioni.
Da questo punto posso tirare un po’ il fiato, visto che ora il percorso prevede discesa fino all’abitato del “Sacro Monte”, dove all’interno del lavatoio di recente restauro, si trova una testa di Cristo da Caravati scolpita direttamente nella roccia ma di difficile individuazione, e un bassorilievo in gness e un crocefisso in bianco calcare, il tutto murato sulla parete.
Ancora in discesa fino a prendere la strada che porta in direzione osservatorio, e poco prima dei gradini della funicolare, vicino ad una fonte ristoratrice c’è una croce con Cristo scolpita, pacchianamente pitturata di colori accesi per evidenziarla da qualcuno che evidentemente non era a conoscenza dell’autore e che stride notevolmente con la personalità molto schiva di Edoardo Caravati. 
Dopo un piccolo tratto di asfalto prendo il sentiero del S.Francesco che in breve tempo mi porta all’abitato di Velate, che oltrepasso zigzagando tra i suoi angusti vicoli, e visto sono quasi arrivato alla fine del cerco di immaginare come potesse essere la vita di Caravati ai primi del ‘900, così incredibilmente diversa da come lo è oggi, senza distrazioni, con pochi pensieri dove probabilmente il principale era quello di guadagnare qualcosa per poter sfamare la famiglia, ma dove una parte importante era la possibilità di esplicare la sua arte, la sua vocazione con quella che la natura offriva, opere delle pietre da scolpire, e i luoghi in cui le trovava.
Mentre elucubro questi pensieri, arrivo alla località “Piano della Croce” dove si trova, anche se diroccata e ingoiata dalla vegetazione, la casa dove viveva Edoardo Caravati. Passata la casa e imboccata la via San Vito, arrivo all’ultima meta del mio percorso, in località Selvapiana, dove nel cortile di un’abitazione si trovano due busti in pietra calcarea che rappresentano i Broggi. Ho avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con il nipote dei nonni rappresentati nei busti, il quale mi raccontava che furono una sorta di ringraziamento visto che Caravati passava di qua dirigendosi verso il Campo dei Fiori, e vista il poco remunerativo lavoro di scalpellino, gli veniva fatto dono di qualche genere alimentare…come detto fin dall’inizio, altri tempi e uomini d’altri tempi.
Poche centinaia di metri mi riportano al punto dove ero partito, chiudendo l’anello al sagrato della chiesa.

 

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